La Chiesa è con Gaza. Nasce la rete “Preti (e vescovi) contro il genocidio”

Si chiama rete “Preti contro il genocidio” ed è nata ben prima che l’Onu sdoganasse questo termine, definendo tale l’intervento dell’esercito israeliano a Gaza. Sono più di mille i preti e poco meno di una decina di vescovi da tutta Italia e non solo: ad unirli, il bisogno di sentirsi parte di una Chiesa che parla, prende posizione e denuncia, a partire dal Vangelo.
Sono preti e parroci, vescovi e arcivescovi, che in piena estate hanno ricevuto, tramite le loro diocesi, l’invito di don Rito Maresca, sacerdote di Mortora, una frazione di Piano di Sorrento. Poche settimane prima, don Maresca aveva celebrato il Corpus Domini indossano una casula con i colori della bandiera palestinese, in segno di solidarietà ma anche, appunto, di denuncia e militanza.
Non siamo contro qualcuno, ma a favore di ogni vita umana. Non possiamo tacere davanti a massacri, violenze e violazioni del diritto internazionale
dal documento della rete Preti contro il genocidio
Da allora, il documento inviato da don Rito ha fatto il giro di tutte le diocesi e conta ad oggi più di un migliaio di adesioni, che quasi certamente aumenteranno nei prossimi giorni.
«Non siamo contro qualcuno, ma a favore di ogni vita umana. Non possiamo tacere davanti a massacri, violenze e violazioni del diritto internazionale», si legge nel documento, nel quale si indicano alcune linee di impegno che la rete assume: primo, «annunciare il Vangelo di una pace “disarmata e disarmante”, come la definisce Papa Leone XIV»: secondo, «tutelare le vittime, denunciare crimini di guerra, genocidi e pulizie etniche, chiedendo il rispetto delle risoluzioni Onu e dei pronunciamenti della Corte Penale Internazionale».
E ancora, «sostegno alle comunità cristiane in Terra Santa» e impegno per «la verità e la responsabilità», che comporta «promuovere indagini indipendenti sugli eventi del 7 ottobre 2023», ma anche «che non si dimentichi la Nakba del 1948 con la rimozione forzata di oltre 700 mila palestinesi dalla loro terra» e che «si riconosca l’occupazione e il regime di apartheid che lo stato di Israele ha messo in atto in Palestina, che si faccia luce sulla propaganda mediatica israeliana mirata a far tollerare, negare o addirittura accettare l’attuale genocidio in atto nei confronti dei palestinesi».
Il 22 settembre, la prima iniziativa pubblica della Rete: nel giorno in cui le piazze italiane si riempivano di persone che chiedevano pace e giustizia, la Rete si è riunita, nel pomeriggio, a Sant’Andrea al Quirinale, per un momento di preghiera, raccoglimento ma anche mobilitazione.
Tra le firme in calce al documento, c’è quella di monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, che però precisa subito: «Ho aderito a titolo personale: sono i singoli presbiteri e vescovi che si sono uniti all’iniziativa promossa da don Maresca. Inizialmente si parlava di “preti contro il genocidio”, ora di fatto siamo “preti e vescovi contro il genocidio».
Era la fine di agosto: parlare di genocidio, prima che l’Onu rompesse finalmente ogni indugio era ancora «divisivo», spiega monsignor Ricchiuti. «E continua ad esserlo, visto che solo qualche ora fa la raccolta firme e l’account di don Rito sono stati bloccati da Google. Dopo verifiche e proteste, tutto ha ripreso a funzionare ed è nuovamente possibile aderire all’iniziativa. La risposta finora è stata molto forte, nel segno di una Chiesa che non vuole essere silente – come spesso le viene rimproverato – ma che prende la parola e prende posizione».
Una posizione non facile, soprattutto nei rapporti con i fedeli “fratelli” come gli ebrei. «Per questo, voglio ribadire che questa iniziativa è un richiamo alla riconciliazione, non certo un modo per alzare altri muri. Potrei definirla una sorta di “catholic suasion”, un appello che parte dall’interno della Chiesa, che come sappiamo è attraversata da opinioni diverse. I sacerdoti sono spesso indicati come coloro che preferiscono il silenzio e la prudenza: ora almeno mille preti prendono la parola, rompono il silenzio e denunciano il genocidio, senza mezzi termini».
Sogno che in tanti, sacerdoti e vescovi, con il Santo Padre, possiamo andare a Gaza, attraversare i confini e percorrere insieme le strade della Striscia. So che è un sogno, ma credo che nella Chiesa questo sogno sia forte e condiviso. Andare lì per dire «Pace», o «Shalom»
Monsignor Giovanni Ricchiuti (presidente di Pax Christi)
Ma cosa si aspettano, i preti e i vescovi che aderiscono a questa rete? «Dobbiamo fermare la fredda conta quotidiana dei morti, che aumentano ogni giorno. E dobbiamo farlo in modo nonviolento ma anche concreto, come l’iniziativa di Pax Christi “Fari di pace”, che sostiene gli operai portuali che, dalla Liguria alla Puglia, si dichiarano disposti a non fare né il carico né lo scarico di navi che portino armi. La Chiesa oggi esce allo scoperto e, come gli operai portuali, si assume un impegno: con questo documento, speriamo di gettare un ponte verso Gaza, ma al tempo stesso verso Israele, perché fermi la sua mano. Sono convinto che questa Rete possa risvegliare nelle comunità un po’ di coraggio e d’impegno. L’impegno per la pace è per la Chiesa una priorità: per questo noi preghiamo, speriamo ma abbiamo anche il coraggio di denunciare e prendere posizione».

E poi, monsignor Ricchiuti ci confida il suo sogno: «Con Tonino Bello, nel 1992 ero tra i 500 preti che si recarono a Sarajevo, come forza di interposizione pacifica. Oggi sogno che non in 500, ma in 500 mila possiamo andare a Gaza, convocandoci dove sia possibile, per attraversare i confini e percorrere insieme le strade della Striscia. So che è un sogno, ma credo che nella Chiesa questo sogno sia forte e condiviso, così come il desiderio che il Santo Padre si rechi in visita a Gaza e, se possibile, anche a Gerusalemme, per dire “Pace”, “Shalom”. Ecco, questo è ciò che sogno e spero, insieme a tanti confratelli».
Questa iniziativa è un richiamo alla riconciliazione, non un modo per alzare altri muri. Potrei definirla una sorta di “catholic suasion”, un appello che parte dall’interno della Chiesa, che come sappiamo è attraversata da opinioni diverse
Monsignor Giovanni Ricchiuti (presidente di Pax Christi)
Anche monsignor Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, ha un sogno: «Che il nostro Paese e gli altri Paesi europei non solo riconoscano lo Stato di Palestina, ma non riconoscano più lo Stato d’Israele, fin quando non ponga fine al genocidio». Non ha alcuna esitazione a chiamarlo genocidio: «L’ho definito così già a marzo, suscitando le proteste dell’ambasciatore d’Israele. Ma è evidente che di questo si tratta: la maggior parte dei governi occidentali fanno ancora fatica a utilizzare questo termine, o a paragonare le modalità adottate dallo Stato di Israele con quelle delle truppe naziste. A mio avviso, sia le modalità che il linguaggio sono proprio gli stessi».
Che il nostro Paese e gli altri Paesi europei non solo riconoscano lo Stato di Palestina, ma non riconoscano più lo Stato d’Israele, fin quando non ponga fine al genocidio
Monsignor Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
Non è il tempo dei termini ambigui e della prudenza: «Forse la Cei si sta mostrando un po’ silente, sui temi di Gaza, della pace, del riarmo. Ma vi assicuro che il popolo della Chiesa e i sacerdoti hanno un forte desiderio e bisogno di esporsi e denunciare, come il Vangelo insegna».

È in nome di quel Vangelo e del coraggio che questo chiede e insegna, che «la Chiesa di Gaza sta dando una testimonianza martiriale nel non spostarsi e restare in città», ricorda monsignor Moscone. «Una testimonianza che vale più di ogni altra cosa, perché la presenza è fondamentale e ci vuole davvero tanto coraggio, per restare in quella terra, mentre i ministri israeliano annunciano quella che sembra, a tutti gli effetti, una pulizia etnica, la soluzione finale».
E noi, da qui, cosa possiamo fare? Cosa chiede questa rete come impegno concreto ai governi? «Di tagliare i rifornimenti di armi a Israele, il quale non è in grado di procurarsi le armi autonomamente, a differenza della Russia. Potrebbe cominciare l’Italia, con queste sanzioni, ma non mi sembra che il nostro Governo intenda muoversi in quella direzione. Potrebbero però farlo però intanto gli altri Stati, a partire dalla piccola Svizzera, che fornisce a Israele una grande quantità di armi. Certo, abbiamo il problema degli Stati Uniti, i principali fornitori, di cui siamo tutti succubi», aggiunge monsignor Moscone.
«Questa è però l’unica azione non violenta possibile, la quale però richiede responsabilità e decisione politica. Ed è questo l’appello che, come membro di questa rete di preti e vescovi contro il genocidio, rivolgo alle istituzioni nazionali e internazionali. Questo massacro deve essere fermato. Non potremo dire di non averlo visto, perché è sotto i nostri occhi e invoca un nostro impegno forte».
Foto di apertura dell’autrice. Foto interne fornite dagli intervistati
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